Volterra è la città dell’alabastro. La si può immaginare in questa sua specificità come un’unione chimica fra terra e mare tesa ad annullare questa contrapposizione. E’ adagiata sopra un’altura che è posto, spazio, luogo antropologico.
Il luogo antropologico è sede di relazioni sociali: memoria, tradizioni, identità. E’ simultaneamente principio di senso per coloro che l’abitano e principio di intelligibilità per chi lo osserva. Volterra è di conseguenza anche la città degli alabastrai, una categoria particolare che ne ha definito il carattere moderno, determinato da un unicum fatto di relazioni storiche ed economiche, appartenenza, riconoscibilità.
L’opposto di quel luogo antropologico è il “nonluogo”, “che in
dica due realtà complementari ma distinte: quegli spazi costruiti in rapporto a certi fini (trasporto, transito, commercio, tempo libero) e il rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi.”1 Il turismo di massa che sostituisce l’attività manifatturiera ne è appieno un esempio. Il mondo contemporaneo è oggi soggetto a movimenti contraddittori prodotti dalla somma delle differenze tanto da creare una società ibridizzata. La tendenza alla crisi del concetto stesso di viaggio (primo argomento di questo libretto e inizio della fantastica avventura) viene dalla difficoltà di trovare specificità non note.
La surmodernità, opposta alla modernità ottocentesca letta da Baudelaire dove le antichità e le ciminiere appartenevano allo stesso orizzonte, non integra in sé luoghi antichi: questi, repertoriati, classificati e promossi a “luoghi della memoria” vi occupano un posto circoscritto e specifico. Che rimane oggi da un tour turistico della lavorazione degli alabastri infatti? Qualche spazio musealizzato, le ultime botteghe del centro storico, qualche negozio di souvenir, la dicitura “Volterra città dell’alabastro” sui cartelli delle strade di accesso, i tentativi ciclici di rilancio poco funzionali alle problematiche del settore.

Il mancato incontro fra surmodernità e tradizione ha spezzato il vincolo fra società e cultura medievale, artigianato, arti decorative. Ha sostituito le anguste botteghe con luoghi di lavoro asettici, i viaggi in piroscafo con flussi di bytes, le motivazioni estetiche con sofisticati fai da tè sociali, i personaggi dell’osteria con gli attori dei profili virtuali.

Quel luogo antropologico ho avuto la fortuna di viverlo e di conoscerne indirizzi e protagonisti, di prenderne a piene mani le energie che sapeva irradiare. Assieme alle riflessioni, ai miei ricordi e a quelli degli amici, alla splendida letteratura su questo argomento, in particolare i testi di Enrico Fiumi, che ho cercato di miscelare per raccontare questa storia meravigliosa, mi sono voluto chiedere nell’ultima parte quale fosse la dimensione temporale degli oggetti che gli alabastrai hanno prodotto, quale il loro spazio, la loro fortuna, e quale il destino.

La possibile trasformazione di Volterra da luogo a “nonluogo” mi ha convinto a raggruppare quei testi e quelle idee da tempo fermi sui Moleskine, e di raccontare un mondo destinato ad una probabile scomparsa. Molti di questi pensieri sono paralleli all’impegno che insieme a Bruno Signorini e Gianni Calastri abbiamo affrontato dal 2011 nell’organizzare l’evento “San Luca degli Alabastrai”, festival autunnale derivante dalla antica festività della categoria, che voleva e vuole prendere posto in quel luogo e che mi ha dato la possibilità di analizzare con cura il fenomeno. Da quest’esperienza nacquero il documentario “Alaba- strai” che girammo insieme nel 2012 dove gli artigiani raccontavano la loro storia, assieme a pubblicazioni, incontri, spettacoli teatrali, concerti, e tante serate indimenticabili.

Gli elementi scissi e sintetizzati dalle leggi della chimica hanno determinato una storia fra mare e terra attivando la scintilla della modernità in un comparto professionale da leggere come luogo di poesia e creatività. Comunque andrà a finire è stato un successo.